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lunedì 7 marzo 2022

Vangelo di oggi Martedì 8 Marzo 2022 - Voi dunque pregate così.

Martedì 8 Marzo 2022
S. Giovanni di Dio; S. Ponzio; S. Provino
1.a di Quaresima
Il Signore libera i giusti da tutte le loro angosce

Mt 6,7-15




PREGHIERA DEL MATTINO


“Ho offuscato la bellezza della mia anima, o Creatore; l’oscurità ha invaso il mio cuore e il mio desiderio si è legato alla terra, ho fatto a brandelli i vestiti originari che tu mi avevi tessuto. Ho contemplato la bellezza dell’albero del male e il mio spirito ne è stato sedotto. Mi sono trovato nudo e mi sono nascosto. Non ho risposto, Signore, quando mi chiamavi per nome”. Ma oggi nel deserto di questa Quaresima ho di nuovo sentito la tua voce, e non chiuderò più il mio cuore; entra nella tenda della mia carne affinché da questo tempio spirituale si innalzi il sacrificio di una preghiera continua.





PRIMA LETTURA 

La mia parola opera ciò che desidero.
Dal libro del profeta Isaia 55,10-11
Così dice il Signore: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».

Parola di Dio.






(Dal Salmo 33)


R: Il Signore libera i giusti da tutte le loro angosce.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato. R.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce. R.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo. R.

Gridano i giusti e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti. R.






CANTO AL VANGELO (Mt 4,4)

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!





VANGELO 

Voi dunque pregate così.
+ Dal Vangelo secondo Matteo 6,7-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».
Parola del Signore.


OMELIA

L’umile, il povero, l’indigente, colui che nutre viva fiducia, spontaneamente implora aiuto. Chi è grato intona inni di lode e di ringraziamento al benefattore. Chi sa entrare nel mondo dello spirito, varca i confini angusti del mondo e della materia per elevarsi in più spirabil aere. Chi è puro di cuore vede Dio e lo riconosce, lo ascolta e l’invoca come Padre. Sono questi i presupposti perché l’essere umano si apra alla preghiera autentica. Non è quindi questione di parole o di formalismi esteriori. Il nostro Dio e Padre sa di quali cose abbiamo bisogno. Essendo egli bontà infinità, non deve essere convinto da noi a piegarsi alla nostra volontà. La prima cosa da chiedere, convinti che il volere divino è ispirato solo ed elusivamente a bontà e sapienza infinite, è che si compia quella volontà in perfetta armonia tra cielo e terra. Così affermiamo il primato di Dio nel mondo e, allo stesso tempo, la mèta finale a cui tutta la nostra esistenza deve tendere. Implicitamente chiediamo anche di conoscere, per quanto ci è possibile quella divina volontà, per poter poi conformare ad essa la nostra vita. Esaudite ed implorate le urgenze primarie dello spirito, chiediamo a Dio Padre il pane quotidiano. Diciamo il «nostro» pane per affermare l’impegno a condividere con i fratelli quel pane, affinché come quello che viene consacrato sugli altari, divenga strumento di carità e di comunione fraterna. È in questo spirito e con questo impegno di fraternità vissuta che chiediamo infine la remissione dei nostri peccati. Manifestiamo così la nostra vera ed estrema povertà e quell’anelito di perdono e di riconciliazione che ci restituisce la vera dignità di figli e ci consente di poter pregare Dio e chiamarlo con il dolce nome di padre. È importante riflettere sugli effetti delle nostre eventuali chiusure nei confronti del prossimo: «Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». (Padri Silvestrini)






PREGHIERA DELLA SERA

“Il peccato ha cucito per me abiti di pelle, dopo avermi spogliato del vestito tessuto dal Dio stesso; ho sporcato la tunica della mia carne, io, che fui creato a tua immagine. Ho perduto la bellezza originaria, l’impronta della tua gloria, ho sfigurato e seppellito l’opera delle tue mani: cercami e ritrovami come la dracma perduta”. Poiché nella mia miseria, povero come sono, privo di te, ho gridato e tu mi hai ascoltato. Tu vuoi liberarmi da tutte le mie angosce perché io canti senza fine il canto della tua misericordia



Martedi - 1.a Quaresima

8 Marzo 202 / in Meditazioni, Rito Romano

Meditazione sul Vangelo di Mt 6,7 - 15


Abbiamo Dio per padre.Dicono le statistiche che un giovane su cinque prega ogni giorno: un giovane sì e quattro no ogni giorno sente importante rivolgersi a qualcuno che non vede, non tocca, non sente, non è manipolabile come tutto quello che ci circonda e gli affida qualcosa della sua vita: un sogno, una domanda, un grazie, una richiesta, una preghiera insomma.

È per scaramanzia, come portarsi un portafortuna in tasca, è per abitudine, è per bisogno, è per fede o disperazione dopo averle tentate tutte, è per gioia incontenibile…? Sta di fatto che ti affiora alle labbra o alla mente una preghiera, un atto di affidamento, un dialogo semplice, magari fatto di monosillabi o di formule mandate a memoria che vogliono bucare la tua vita spesso piatta per forare il cielo. E’ un bisogno molto umano, ma non sempre si è capaci di tradurlo in qualcosa di bello, di non petulante, di tuo, di gioioso, di vero. Gesù aveva davanti proprio uomini in questa difficoltà quando si sente dire: insegnaci a pregare. Ti vediamo così bello e felice quando preghi, stai ore e ore con un volto così disteso e sereno che ci fai invidia. Noi non siamo capaci di pregare, ci stanchiamo di formule senza senso, quelle che ci hanno insegnato in sinagoga non ci danno la gioia che hai tu sul volto. E Gesù insegna loro: quando pregate dite:  padre nostro. Insegna a chiamare Dio col nome bellissimo di papà, abbà, un nome che da solo cancella tutte le distanze, le paure, le bestemmie che noi senza senso tante volte diciamo. Dio è un papa di quelli veri, di quelli che si spendono per la famiglia, di quelli che sanno perdere tempo e giocare con i figli, di quelli che fanno di tutto per mettere pace, di quelli che danno forza, che ti sostengono anche con un rimprovero, con uno sguardo duro, ma che non ti mollano mai, non ti lasciano solo, sanno aspettarti al ritorno dalle tue stupide avventure e sono disposti a ricominciare. E tu gli dici che vuoi fare quello che vuole lui, perché sai che per te desidera il massimo, che sogni un mondo bello come piace a lui, gli chiedi di avere ogni giorno quello che ti è necessario nella vita ed è tale la stima che hai per lui che vuoi diventare capace di perdono come lo è lui per te. Una preghiera così apre il cuore alla speranza.

Ma questa speranza so dove trovarla?


PAROLA DEL GIORNO


Il ricco che compie uno sbaglio trova chi lo sostiene, ma il povero, se cade, è respinto anche dai suoi amici (Ecl 13,21)


VIVERE LA PAROLA

Non dare in anticipo un cattivo giudizio su una persona.
Dagli l’opportunità di spiegarsi e vedrai che, il più delle volte, 
ci sbagliamo nei nostri pregiudizi.
«Non giudicate se non volete essere giudicati», ha detto il Maestro.
Con la misura che useremo verso gli altri, 
saremo a nostra volta misurati.







giovedì 11 marzo 2021

Dal Vangelo - Videro dove dimorava e rimasero con lui.

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI 
( 1,35-42 )


Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà




PREGHIERA DEL MATTINO

Signore Gesù, ti prego: fa' che oggi ti incontri sulla mia strada; fa' che il tuo amore mi cambi; fa' che ti segua ovunque tu mi conduci; fa' che comunichi agli altri la letizia e la speranza che tu fai sorgere in me. Donami di essere docile alla tua chiamata. Donami di risponderti con tutte le forze, senza riserve e per sempre.



PRIMA LETTURA

Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta.

Dal primo libro di Samuele 1Sam 3,3b-10.19

In quei giorni, Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi», poi corse da Eli e gli disse: «Mi hai chiamato, eccomi!». Egli rispose: «Non ti ho chiamato, torna a dormire!». Tornò e si mise a dormire. Ma il Signore chiamò di nuovo: «Samuele!»; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Ma quello rispose di nuovo: «Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!». In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: «Samuele!» per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: «Mi hai chiamato, eccomi!». Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta"». Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: «Samuele, Samuele!». Samuele rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta». Samuele crebbe e il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole.

Parola di Dio.


 

SECONDA LETTURA

I vostri corpi sono membra di Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 6,13c-15a.17-20

Fratelli, il corpo non è per l'impurità, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. State lontani dall'impurità! Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all'impurità, pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi? Lo avete ricevuto da Dio e voi non appartenete a voi stessi. Infatti siete stati comprati a caro prezzo: glorificate dunque Dio nel vostro corpo!

Parola di Dio.




CANTO AL VANGELO (Gv 1,41.17b)

R. Alleluia, alleluia.
"Abbiamo trovato il Messia":
la grazia e la verità vennero per mezzo di lui.
R. Alleluia.




VANGELO

Videro dove dimorava e rimasero con lui.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Parola del Signore.

 

OMELIA


Come esseri umani e ancor più come credenti dovremmo orientare tutta la nostra vita in una continua, assidua ed incessante ricerca di Dio. Trovarlo e conoscerlo dovrebbe essere lo scopo primario della nostra vita. Dal Vangelo e da tutta la scrittura sacra apprendiamo che prima ancora che noi ci muoviamo verso di Lui, egli è già alla nostra ricerca. Gesù, additato da Giovanni battista come l'Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo, suscita immediatamente l'attenzione di uno dei discepoli del battezzatore. È Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli si mette senza esitazione alla sequela di Cristo. Ha creduto alla testimonianza del suo primo maestro ed è sicuro ormai che l'Agnello di Dio e il Messia atteso. La buona notizia, il felice incontro non può essere taciuto; il neodiscepolo si trasforma subito in testimone. Incontra il fratello Simone e gli dice: «Abbiamo trovato il Messia che significa Cristo e lo condusse da Gesù». Ecco un bell'esempio per ognuno di noi che ci diciamo cristiani: dopo aver incontrato e conosciuto Cristo dobbiamo impegnarci attivamente con la genuinità della nostra testimonianza, a condurre da lui i nostri fratelli. Questa è la vocazione del credente: assumere gli insegnamenti del Signore, viverli coerentemente, farli diventare testimonianza ed esempio per gli altri. Non basta quindi dire «Eccomi, Signore, parla che il tuo servo ti ascolta» come afferma Samuele, chiamato dal Signore, occorre che dopo la chiamata orienti tutta la vita in conformità all'invito ricevuto. Una delle più belle espressioni della nostra fede, una delle migliori conseguenze derivanti dall'aver trovato Cristo, è proprio l'impegno di farlo conoscere ad altri. Per secoli la chiesa ha intessuto una splendida catena di trasmissione mediante la quale, dagli apostoli fino a nostri giorni, il messaggio di Cristo si è diffuso e si diffonde ancora in tutto il mondo. Quando questa catena s'inceppa ne soffre la chiesa, che viene così meno al suo primario dovere di essere missionaria con tutti i suoi membri. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha fatto riscoprire questo ruolo anche ai laici, chiedendo loro un apporto più incisivo nella vita della chiesa. Forse per troppo tempo l'annuncio è stato ritenuto una prerogativa quasi esclusiva dei preti e dei religiosi. La chiesa ha urgente bisogno di testimoni autentici e numerosi e nessun fedele può ritenersi dispensato o escluso.

(Padri Silvestrini)





PREGHIERA


Concedi a noi tuoi fedeli, Signore, di partecipare degnamente ai santi misteri perché, ogni volta che celebriamo questo memoriale del sacrificio del tuo Figlio, si compie l'opera della nostra redenzione. Per Cristo nostro Signore.


Giovanni Battista vide Gesù e disse: "Ecco l'Agnello di Dio!". E i discepoli seguirono Gesù. (Gv 1,36-37)

Infondi in noi, o Padre, lo Spirito del tuo amore, perché nutriti con l'unico pane di vita formiamo un cuor solo e un'anima sola. Per Cristo nostro Signore.


MEDITAZIONE


Questa domenica, la parola di Dio ci fa percepire le armoniche della nostra salvezza: la Chiesa, tempio e corpo di Cristo; Cristo stesso dimora di Dio; noi stessi, esseri creati ad immagine e somiglianza di Dio, templi dello Spirito nel nostro corpo mortale. Da questo triplice mistero della dimora di Dio fra gli uomini nella Chiesa, in Cristo, nel nostro corpo, riceviamo una luce su una questione decisiva per la nostra epoca, la cui attualità non vi sfuggirà: Che cos'è, in fondo, l'uomo? Che cos'è un uomo nella sua condizione corporale? Oggi che il nostro grande sapere e potere sulla genetica umana ci fanno brancolare nel buio, come ciechi, perché non sappiamo più che cosa, in questo ammasso di carne che l'uomo manipola e domina, sia umano e che cosa non lo sia. Oggi che i progressi dell'intelligenza umana nella comprensione della sua condizione pongono interrogativi inquietanti. Oggi che la luce divina sulla condizione umana è indispensabile per salvare ciò che deve essere salvato della dignità dell'uomo e della sua esistenza. La Chiesa, Cristo, l'uomo e il suo corpo si richiamano l'un l'altro. Ne sono convinto: il modo in cui oggi trattiamo la Chiesa è il segno del modo in cui oggi trattiamo Cristo; e il modo in cui trattiamo Cristo è la prova della maniera in cui trattiamo noi stessi. L'ultima frase che ho letto dal Vangelo, la dichiarazione di Gesù a Simone, figlio di Giovanni, mi spinge a partire da questa considerazione. Gesù, fin da questo primo incontro, si associa nel suo compito, nella sua missione, i suoi compagni e li sceglie senza indugio. Cambia il nome di Simone e gli impone il nome aramaico "Cefa", Pietro. In quel momento Gesù riceve dal Padre suo la "pietra" di fondazione del tempio spirituale, della dimora di Dio promessa al compimento dei tempi. Idea e immagine costanti nell'Antico Testamento e nel messaggio di Gesù. Si tratta di un tempio vivente, fatto di "pietre vive", perché siamo noi a costituirlo. La sua unità, pienezza e coesione, è realizzata dallo Spirito Santo che ci ha scelti e che non solo ci dà la coesione di un edificio, l'entità di un corpo unito, ma fa di noi tutti il tempio vivente e santo di Dio. La Chiesa è questa costruzione fondata sugli apostoli, le dodici colonne della Chiesa, come dicono le Scritture (Gal 2,9) ed è il luogo in cui dimora la gloria di Dio. Ormai, nessun edificio umano avrà la stessa grandezza, la stessa pienezza, la stessa storia della nuova dimora edificata dallo Spirito Santo. Perché i templi, anche il Tempio santo di Gerusalemme, dove risiede la gloria di Dio al di sopra dei cherubini, secondo la visione del profeta Isaia, questi templi costruiti dalla mano dell'uomo sono, per definizione, templi finiti la cui perfezione stessa è riflesso dell'intelligenza umana, che non può concepire le cose se non a sua misura. Questo edificio in cui ci troviamo, e che ha una sua bellezza affascinante, la riceve in parte dal fatto che la nostra intelligenza, spinta al di là dei nostri sguardi, trova intuitivamente, proprio in questo spazio limitato, la sicurezza di uno spazio che abbiamo costruito noi, e che noi possiamo delimitare in quanto non fissato per sempre, anche se i limiti stimolano indefinitivamente la nostra sensibilità e se, ad ogni passo, ad ogni sguardo, intravediamo sempre nuovi aspetti. Ora, caratteristica peculiare del tempio che Dio costruisce con quelle pietre viventi che sono le nostre vite, è il fatto che nessuno può farne il progetto se non Dio stesso; nessuno può dargli coesione se non lo Spirito che vi dimora. La sua costruzione sarà terminata solo al termine della storia; poiché si aggiungono sempre nuove pietre. Al punto che questo edificio è paragonato a un corpo in crescita; al punto che, corpo costituito da uomini che fanno parte di questa creazione, esso ottiene la sua perfezione dall'amore infinito di Dio che lo abita e lo costruisce. Non ha nessun'altra misura se non il progetto dell'amore infinito. Al punto che lo splendore del tempio spirituale, "non costruito dalla mano dell'uomo", che è la Chiesa, ci sfugge, mentre di un edificio di pietra percepiamo la bellezza con i nostri occhi, le nostre mani, i nostri sensi. Infatti questo tempio comprende non solo gli uomini che sono oggi sulla terra, ma anche, altrettanto vivi e presenti, tutti quelli che, innumerevoli e sconosciuti, sono stati presi dalla morte e vivono con Cristo. Altrettanto presenti e, anzi, per il peso della loro vita e del loro amore, ancora più presenti degli esseri che oggi affollano questo suolo e parlano con una voce umana. Esso comprende infine, nella speranza, la folla immensa degli uomini e delle donne che Dio ama e che, al di là di quello che possiamo saperne, egli chiama e riunisce per costituire questo tempio spirituale che è la Chiesa, vera e propria dimora di Dio. Così, a partire da questo episodio narrato dal Vangelo di san Giovanni, i discepoli vengono ad abitare con Cristo, nella casa di Cristo, la cui dimora è il tempio di Dio, la casa di suo Padre. Ora, la maniera stessa in cui noi, cristiani, consideriamo il tempio spirituale che Cristo riceve e che Dio costruisce con le pietre viventi, che siamo noi, per costruire la Chiesa, ci permette di essere testimoni di una realtà ancora più concreta: il tempio che è il "corpo di Gesù". Perché, secondo un'altra immagine usata da Cristo, noi costituiamo il suo corpo. San Giovanni ce lo fa capire quando ci riferisce, prima della passione, questa sfida enigmatica di Gesù davanti al tempio di Gerusalemme: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere" (Gv 2,19). Proposito provocatorio e assurdo alle orecchie dei suoi uditori, incomprensibile - almeno nell'immediato - per i discepoli; dice infatti l'evangelista: "Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Egli parlava dunque del suo proprio corpo che, per amore nei nostri confronti, si immerge nella nostra morte per darci la vita. In che modo adoriamo e amiamo questo corpo infinitamente santo del Verbo di Dio che si è fatto carne, nel grembo della Vergine Maria, unigenito Figlio di Dio fatto uomo, figlio di Adamo che noi riconosciamo come nostro fratello: mistero stesso della presenza, nella nostra umanità, del Dio inconoscibile e infinito rivelato nel suo Figlio? Corpo di Cristo offertosi per noi, nostro cibo nel sacramento eucaristico, sangue versato per riscattarci - a quale prezzo - dai nostri peccati, sorgente di risurrezione e di vita divina in noi. Corpo di Cristo nostro fratello, figlio di Abramo; corpo di Cristo, Verbo eterno, Figlio di Dio, da cui noi siamo resi divini e in cui noi possiamo diventare figli di Dio. Vita divina presente nell'umanità che sottrae la condizione umana non solo alla sua debolezza mortale, ma anche alla sua perdita e che le dà la comunione con Dio, vita eterna. Sì, come noi trattiamo la Chiesa, trattiamo Cristo: prova infallibile della verità della nostra fede in Cristo. Chi disprezza questo corpo che noi costituiamo come dimora divina di Dio e dello Spirito - la Chiesa corpo di Cristo che ne è il capo - non può dire di credere realmente che il corpo di Gesù, nato dalla Vergine Maria, sia il corpo del Figlio di Dio. La prova della fede in Cristo, Dio e uomo, è la nostra fede nella presenza divina dello Spirito in questo corpo di Cristo che noi formiamo. Forse pensate che siamo ancora all'interno di quello stretto cerchio in cui la fede è una luce che illumina soltanto la logica dell'amore con il quale il credente si appresta a seguire, capire e conoscere Cristo. Forse pensate che questa meditazione, in fondo, non ha senso se non per il discepolo di Gesù e non ha nessun'altra validità. Ora, in questi due misteri (corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria e corpo ecclesiale di Cristo) è racchiusa la salvezza dell'uomo. Quale salvezza? Da che cosa abbiamo bisogno di essere salvati? Da molte cose, ahimé! Ma vengo al punto preciso su cui vorrei che terminassimo la nostra meditazione. Noi dobbiamo essere salvati dalla nostra propria distruzione. Dobbiamo essere salvati dal rifiuto, al quale siamo quasi fatalmente spinti, di considerare la divina grandezza dell'uomo in generale e di ogni uomo in particolare. In effetti, quando la ragione umana, che è riflesso dell'intelligenza

divina e dono di Dio, non si percepisce più come ricevuta da Dio e si appunta, in modo sovrano ed efficace, sulla nostra condizione storico-corporale per cercare di sapere che cos'è un essere umano, all'improvviso non sa più cosa dire. Chi è un essere umano? L'embrione è un essere umano? Il vecchio o il malato che non è più padrone dei suoi gesti è un essere umano? Il nemico è un essere umano? L'uomo diverso da noi, di cui abbiamo paura e che definiamo selvaggio, è un essere umano? Chi è definito "deviante" è un essere umano? Chi è detto pazzo è un essere umano? Chi è disprezzato da tutti perché creduto perverso, e forse lo è, è un essere umano? Chi deciderà che cos'è l'uomo? Chi deciderà chi è un uomo? Perché rispettare di più questo fragile ammasso di cellule piuttosto che un altro qualsiasi ammasso di cellule provenienti da un altro qualsiasi essere vivente? Quali argomentazioni portare a favore? Come dare delle leggi su ciò? Come comprendere, pur essendo così sapienti e avendo tanto potere, quale rispetto sia dovuto all'uomo e chi meriti questo rispetto incondizionato? Io non pretendo di entrare qui in un ambito in cui i ricercatori, i giuristi, gli uomini di sapere possono esercitare la loro sagacia. Io vi parlo come apostolo di Gesù Cristo, come testimone della parola di Dio, incaricato della salvezza dell'uomo. Vedete da che cosa abbiamo bisogno di essere salvati? Da questa falsa sapienza che potrebbe condurre l'uomo a non sapere più chi sia. Ora, ecco il "più" che noi siamo: il tempio di Dio, ciascuno, nella nostra condizione corporale. "Il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo", dice san Paolo (1Cor 6,19), facendo eco alle parole di Gesù: "Se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio" (Gv 3,3), se non rinasce cioè da Dio, dallo Spirito. Noi siamo il tempio dello Spirito Santo come la Chiesa corpo di Cristo, come Cristo nato dalla Vergine Maria, Figlio eterno di Dio. Ognuno di noi, il più disprezzato come il più famoso, il più grande come il più debole, il più degno agli occhi degli uomini come il più indegno, il più diverso da noi, comunque egli sia, in punto di morte o non ancora nato, insomma ogni essere che appartenga alla condizione umana è infinitamente sacro, perché è la dimora di Dio fra gli uomini, e deve essere trattato con il rispetto infinitamente sacro del nostro Creatore e Redentore. Ogni essere che appartenga alla nostra specie è chiamato a essere ed è il tempio e la dimora di Dio. Certo noi siamo peccatori, accecati fino all'omicidio, che è il primo peccato dei figli di Adamo. Omicidio, cioè fratricidio, quando Caino uccide suo fratello Abele. Ma il mistero della redenzione di Cristo che assume i nostri peccati e che, sulla croce, ci libera e ci strappa alla morte, è la misura più piena della liberazione e della salvezza che Dio vuole operare in noi. In Cristo nostro fratello, i fratelli nemici ricevono il comandamento di amarsi. Voi capite, amici miei, l'importanza profetica, parola umana che pronuncia la parola di Dio, l'importanza profetica, dico, di questo mistero del corpo ecclesiale, tempio di Dio, nel quale abita Cristo, la cui carne è quella della divinità del Verbo eterno e che fa di noi i templi dello Spirito Santo per ricordarci la nostra condizione divina. Noi dividiamo questa fede con i discepoli di Cristo, che sanno chi è il Padre, chi è il Figlio, chi è lo Spirito, e che credono in un solo Dio. Ma dal momento che, discepoli di Gesù, sappiamo che l'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, è chiamato a essere il tempio dello Spirito Santo, noi sappiamo anche di dover difendere, con le armi della ragione, della libertà e del rispetto, la dignità divina e assoluta di ogni uomo, di ogni essere umano. Non come un'opinione privata, ma come una certezza che si basi sulla nostra fede nell'amore del nostro Creatore e Padre. E per questo, noi dobbiamo "obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (At 5,29). Con la stessa fedeltà di Gesù che ha offerto in sacrificio la sua vita per la nostra redenzione e per la nostra vita. È dunque una parola piena di speranza che oggi la Chiesa ci fa ascoltare; piena di forza, di bellezza, di rigore, per capire quale fatica, come quella del Redentore, sia quella dell'Agnello di Dio che porta i peccati del mondo, come ci dice oggi il Vangelo che abbiamo ascoltato. Ma in questa fatica e in questa pena, guardate quale gioia ci è data perché la testimoniamo al mondo!

Card. JEAN-MARIE LUSTIGER



Domenica – 2.a Tempo Ordinario

Meditazione sul Vangelo di Gv 1,35-42

Riconoscere la voce di Dio.

Il tema della sequela semplice e totale si ripresenta nelle letture di questa domenica. Una volta riconosciuto il Signore, è forse possibile non seguirlo? Nel racconto della chiamata di Samuele e in quello dei primi due discepoli che seguono Gesù, è evidente anche un altro elemento. Queste persone giungono al riconoscimento e alla sequela attraverso l’indicazione del loro maestro. La voce di Dio è riconoscibile attraverso qualcuno che ne ha già fatto esperienza e ce la indica.

Leggendo questi due famosissimi episodi, abbiamo l’impressione di essere condotti alle sorgenti della storia cristiana e della nostra stessa vita, Ancora bambini, o giovani, o forse già grandi, non è accaduto sostanzialmente così anche a noi? Ricordiamo la nostra adesione al Signore, la scelta che ha determinato l’orientamento della nostra vita. Il nostro cuore era in attesa e in ricerca di un senso della vita, di un motivo per cui spendere le energie, di una meta verso la quale camminare, di una compagnia vera e significativa. Forse eravamo già in buona posizione e ben attestati, come i protagonisti delle letture di oggi: Samuele era già ospite del tempio, Giovanni e Andrea si erano già mossi verso il Battista. Può accadere, come nel caso di Matteo o Saulo o di tanti altri, di trovarsi in una posizione di estraneità e lontananza. All’orizzonte della vita

appare una novità: una voce, una presenza, un uomo, un richiamo. Quell’accento ci colpisce non a livello superficiale e puramente emotivo, ma dandoci la percezione profonda che lì si gioca il nostro destino. Come potremmo sottrarci? Forse siamo titubanti e incerti, come Samuele che non riconosce subito la voce, o come i due che camminano dietro a Gesù sul fiume Giordano senza avere il coraggio di farsi notare. E’ un momento sottile e delicato, un crinale che decide della direzione della vita. Se non fosse per l’evidenza dell’iniziativa di Dio, ci potremmo smarrire. La misericordia di Dio ci insegue, e ci troviamo a dire: “Parla Signore, che il tuo servo ti ascolta”; e acconsentiamo alla grazia di “stare con lui tutto questo giorno”. Una grazia che fiorisce nei giorni successivi, e insieme con noi coinvolge altre persone, come è accaduto nella missione di Samuele e già subito nell’incontro di Andrea con il fratello Simone.