lunedì 14 settembre 2020

Il Vangelo di Oggi: Settembre: 2020: Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo

 Vangelo di Lunedì Settembre 2020: S. Gabriele T.D.

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE (f) – P

Non dimenticate le opere del Signore!

Gv 3,13-17



PREGHIERA DEL MATTINO

Signore Gesù, tu hai accolto la croce come un letto nuziale poiché là sono stati versati l’acqua e il sangue delle nozze di una nuova Cana. Ti hanno coricato nudo, come Noè nel giorno della sua ebbrezza, ti hanno coricato affinché tu ti addormentassi nella morte, ebbro d’amore, nel torchio della croce. Essa è ora il segno della riconciliazione che abbraccia il mondo celeste e il mondo terreno in una sola amicizia. Quale invenzione del tuo amore, quando le parole dei profeti, che gridavano l’amore del Padre, erano inchiodate alle loro bocche dai colpi e dal disprezzo di un popolo adultero. Gesù “con la tua croce tu hai distrutto la morte, hai aperto il paradiso ai ladroni, hai asciugato le lacrime delle donne sante; hai mandato i tuoi apostoli a predicare la tua risurrezione, Cristo Dio, dando al mondo la tua grande misericordia”.


PRIMA LETTURA

Chiunque sarà stato morso e guarderà il serpente, resterà in vita.

Dal libro dei Numeri 21,4b-9

In quei giorni, il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.

Parola di Dio.


SECONDA LETTURA

Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2,6-11

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Parola di Dio.




CANTO AL VANGELO

R. Alleluia, alleluia.

Noi ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo,

perché con la tua croce hai redento il mondo.

R. Alleluia.




VANGELO

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 3,13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Parola del Signore.


OMELIA

L’esaltazione della santa Croce ci fa conoscere un aspetto del suo cuore che solo Dio stesso poteva rivelarci: la ferita provocata dal peccato e dall’ingratitudine dell’uomo diventa fonte, non solo di una sovrabbondanza d’amore, ma anche di una nuova creazione nella gloria. Attraverso la follia della Croce, lo scandalo della sofferenza può diventare sapienza, e la gloria promessa a Gesù può essere condivisa da tutti coloro che desideravano seguirlo. La morte, la malattia, le molteplici ferite che l’uomo riceve nella carne e nel cuore, tutto questo diventa, per la piccola creatura, un’occasione per lasciarsi prendere più intensamente dalla vita stessa di Dio. Con questa festa la Chiesa ci invita a ricevere questa sapienza divina, che Maria ha vissuto pienamente presso la Croce: la sofferenza del mondo, follia e scandalo, diventa, nel sangue di Cristo, grido d’amore e seme di gloria per ciascuno di noi.


PREGHIERA DELLA SERA

“Io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato”. È la fede viva che ti tocca, come lo Sposo del Cantico è commosso dallo sguardo dell’amata. Ah! Possa io invocarti con la fiducia di chi si sente amato, poiché tu mi hai riscattato a prezzo del tuo sangue! E dovrò temerti ora? Rinnova il mondo e fa’ che le menzogne del Maligno non ci ingannino più. Medica le nostre ferite con il tuo Corpo eucaristico, mandaci lo Spirito che indirizzerà la nostra volontà di guarire verso l’unico medico delle anime moribonde.


Lunedì – 24a Tempo Ordinario – Esaltazione della Santa Croce – P

Meditazione sul Vangelo di Gv 3,13-17

La morte che ci dà la vita.

Per l’Apostolo Giovanni la Crocifissione di Gesù era ormai l’inizio della sua glorificazione, perché con la sua morte lui sale in cielo per avere di nuovo la gloria che aveva prima della creazione. Nel deserto gli ebrei dovettero guardare il serpente di bronzo innalzato da Mosè su un bastone per essere salvati. Allo stesso modo, l’innalzamento di Gesù sulla croce è ciò che ci consente di riconoscere in lui la salvezza ed evitare la morte a causa del peccato.


Il popolo d’Israele che camminava nel deserto verso la Terra Promessa, mormorava continuamente contro Dio, manifestando così la propria sfiducia nei confronti del suo Signore nonostante Dio avesse compiuto numerosi prodigi per farli uscire dall’Egitto, e liberarli dalla schiavitù degli egiziani. Fu facile per loro fidarsi di Dio quando aprì il Mar Rosso per condurli alla salvezza mentre dietro di loro il mare inghiottiva i nemici che li inseguivano, ma quando vennero a mancare il pane e l’acqua, allora si insinuò il dubbio su Dio e dissero: “Perché ci ha portato a morire nel deserto? E’ meglio ritornare in Egitto”. E’ il grande peccato della mormorazione contro Dio. Un peccato che forse noi dimentichiamo di esaminare nella nostra vita. Anche noi siamo ferventi quando tutto va bene e non abbiamo problemi. Allora è facile dire che amiamo Dio. Ma quando ci imbattiamo in qualche difficoltà, ecco sorgere in noi l’incertezza sull’amore di Dio, e la mormorazione: “Perché Dio dice che mi ama se poi permette che avvenga questo nella mia vita?”. In verità, questo significa che la mia fede e la mia fiducia sono fragili. Ma Dio è ricco di misericordia. Siamo noi a punire noi stessi con la nostra mancanza di fiducia. Dio è sempre misericordioso anche se il nostro cuore, come dice il salmo, non è costante verso di lui e molte volte non siamo fedeli alla sua alleanza. Dio vuole la mia salvezza, perché “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Questo è il nocciolo del cristianesimo: un Dio che si fa uomo per amore, che soffre per amore e che perdona con amore. Come gli Israeliti che guardavano il serpente di bronzo guarivano, così anche chi guarda con fede il figlio di Dio “innalzato” sulla croce e intende il suo amore per noi guarisce dalla morte spirituale. Dobbiamo accogliere la misericordia di Dio, ma prima occorre riconoscere i nostri peccati, la nostra incostanza nei suoi confronti.


MEDITA IL VANGELO DI OGGI

Meditazione sul Vangelo di Gv 3,13-17 

La morte che ci dà la vita. Per l’Apostolo Giovanni la Crocifissione di Gesù era ormai l’inizio della sua glorificazione, perché con la sua morte lui sale in cielo per avere di nuovo la gloria che aveva prima della creazione. Nel deserto gli ebrei ...




domenica 13 settembre 2020

Vangelo: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

 S. Giovanni Crisostomo (m); S. Maurilio; B. Claudio D.

24.a del Tempo Ordinario

Il Signore è buono e grande nell’amore

Mt 18,21-35

PREGHIERA DEL MATTINO

Se perdoni ai giusti che merito hai, tu che sei il Giusto? Se accogli i buoni, che fatica fai tu che sei il Buono? Perdona e accogli me misero peccatore, ultimo dei tuoi servi affinché il mondo sappia che non c'è limite alla tua misericordia. Accogli me indegno che ho abbandonato la tua casa; illuminami con la luce del tuo volto perché possa capire la tua tenerezza e insegnami a perdonare ai fratelli per sentirci insieme abbracciati dallo stesso amore.


PRIMA LETTURA

Perdona l’offesa al tuo prossimo

Dal libro del Siracide 27,30-28, 7

Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta dal Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati? Ricordati della tua fine e smetti di odiare, ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricordati dei comandamenti e non aver rancore verso il prossimo, ricordati dell'alleanza con l'Altissimo e non far conto dell'offesa subita.

Parola di Dio.

SECONDA LETTURA


Se noi viviamo, viviamo per il Signore

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 14, 7-9

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Parola di Dio.



CANTO AL VANGELO (cf. Gv 13,34)

R. Alleluia, Alleluia.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,

e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.

R. Alleluia..




VANGELO

Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

+ Dal Vangelo secondo Matteo 18, 21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: "Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Parola del Signore.


OMELIA

Quante volte devo perdonare? Buon senso, opportunità, giustizia umana sono termini insufficienti per comprendere adeguatamente la morale cristiana; e non solo perché Cristo è venuto a perfezionare la legge. "Occhio per occhio e dente per dente", come fu detto agli antichi è una norma che Cristo, nella sua autorità di legislatore supremo, dichiara superata. Ma c'è qualche cosa di più. Dopo la morte redentiva di Cristo l'uomo si trova in una situazione nuova: l'uomo è un perdonato. Il debito gli è stato rimesso, la sua condanna cancellata. "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Cor 5,21). Il Padre ormai ci vede in Cristo: figli giustificati. Il mio peccato può ancora indebolire il mio rapporto filiale con il Padre, ma non può eliminarlo. Più che dal suo peccato l'uomo è determinato dal perdono infinitamente misericordioso di Dio: "Il peccato dell'uomo è un pugno di sabbia - così san Serafino di Sarov - la misericordia divina un mare sconfinato". La miseria umana s'immerge nell'accoglienza purificatrice di Dio. Se questa è la novità portata da Cristo, anche il perdono umano deve adeguarsi ai parametri divini: "Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro" (Lc 6,36). Se il Padre guarda l'uomo come perdonato in Cristo, io non lo posso guardare come un condannato. Se il Padre ci accoglie in Cristo così come siamo per trasfigurarci in lui, l'accoglienza benevola diventa un bisogno della vita, una beatitudine. La comunità cristiana non pretende di essere una società di perfetti, ma vuole essere un luogo di perdono, una società di perdonati che ogni giorno gusta la gioia della benevolenza paterna e desidera renderla manifesta nel perdono reciproco.


Domenica – 24a Tempo Ordinario

Meditazione sul Vangelo di Mt 18,21-35

Vivi di gratitudine.

In questa domenica siamo davanti al testo evangelico inserito nel capitolo 18 di Matteo, che raccoglie, potremmo dire, gli insegnamenti di Gesù sulla Chiesa, sulla comunità: appartiene infatti a questo stesso capitolo il brano sulla correzione fraterna e sulla preghiera comune, offerti nella liturgia della scorsa domenica. La tematica odierna è quella del perdono, e il fatto che questo testo rientri nei brani “ecclesiali” ci dice quanto possa essere possibile creare comunità sane e relazioni fraterne autentiche solo a partire da un cuore consapevole del perdono ricevuto e, quindi, capace di donare il perdono a sua volta.


Fin dalla nascita siamo in debito con Dio per quanto ci dona: la vita stessa e quanto ogni giorno ci è posto davanti è dono Suo. Noi non possediamo davvero nulla! Ogni dono ricevuto dunque dovrebbe far sgorgare una spontanea gratitudine. Ma quante volte smarriamo la consapevolezza di questa gratuità di Dio verso di noi, soprattutto nella sua infinita misericordia pronta a perdonare il nostro peccato, che, come ci richiama il salmo odierno, «non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Sal 102,10). La parabola che Gesù racconta per spiegare proprio la grandezza del perdono di Dio verso di noi, è una storia assurda, decisamente illogica. Il padrone condona un debito sproporzionato ad un suo servo! Sarebbe logico aspettarsi che il servo possa ripetere lo stesso gesto generoso verso chi gli è simile. Quanto compie invece ci disorienta: aggredisce violentemente un servo come lui che gli deve una quota veramente misera. E noi? Da dove ha origine la nostra capacità di guardare l’ altro con misericordia? Il nostro cuore, come saggiamente ci dice il brano del Siracide nella prima lettura, è abitato da invidie e vendetta, da sentimenti che ci portano ad andare contro il fratello, a vederlo come nemico. Viviamo spesso abbruttiti, come lo è questo servo che nella sua  ingratitudine e quindi nella sua reazione verso il fratello, è come deformato dalla violenza, dalla cattiveria. Se non riconosciamo quanto grande è il debito che Dio ha già perdonato a noi, se non nutriamo ogni giorno il nostro cuore con un vivo senso di gratitudine per il perdono gratuito di Dio, allora le nostre relazioni saranno appesantite, calcolate e fredde. La comunità, la Chiesa, ogni rapporto fraterno, possono nascere e custodirsi nella verità da un cuore capace di gratitudine.


LA PREGHIERA DI PENTIMENTO

N. 13

Beati quelli che sanno di essere peccatori

C’è la preghiera penitenziale.

Più completamente: la preghiera di chi sa di essere peccatore.  Cioè dell’uomo che si presenta davanti a Dio riconoscendo le proprie colpe, miserie, inadempienze.

E tutto ciò, non in rapporto ad un codice legale, ma al codice assai più esigente dell’amore.

Sea preghiera è un dialogo d’amore, la preghiera penitenziale è propria di chi riconosce di aver commesso il peccato per eccellenza: il non-amore.

Di colui che ammette di aver tradito l’amore, essere venuto meno ad un “patto reciproco”.

La preghiera penitenziale e i salmi ci offrono esempi illuminanti in questo senso.

La preghiera penitenziale non riguarda i rapporti tra un suddito ed un Sovrano, ma un’ Alleanza, ossia una relazione di amicizia, un legame d’amore.

Smarrire il senso dell’amore significa perdere anche il senso del peccato.

E recuperare il senso del peccato equivale a recuperare l’immagine di un Dio che è Amore.

Insomma, soltanto se hai capito l’amore e le sue esigenze, puoi scoprire il tuo peccato.

In riferimento all’amore, la preghiera di pentimento mi fa prendere coscienza che sono un peccatore amato da Dio.

E che sono pentito nella misura in cui sono disposto ad amare ( “…Mi vuoi bene?..”- Gv.21,16).

Dio non è tanto interessato alle sciocchezze, di varie dimensioni, che posso aver commesso.

Ciò che gli sta a cuore è accertare se sono consapevole della serietà dell’amore.

Per cui la preghiera penitenziale implica una triplice confessione:

-         confesso che sono peccatore

-         confesso che Dio mi ama e mi perdona

-         confesso che sono “chiamato” ad    amare, che la mia vocazione è l’amore

Un esempio stupendo di preghiera di pentimento collettivo è quella di Azarìa in mezzo al fuoco:

“…Non ci abbandonare fino in fondo

     per amore del Tuo nome,

    non rompere la Tua alleanza,

    non ritirare da noi la Tua misericordia…” (Daniele 3,26-45).

Si invita Dio a prendere in considerazione, per regalarci il perdono, non i nostri meriti precedenti, ma unicamente le ricchezze inesauribili della Sua misericordia, “..per amore del Suo nome…”.

Dio non bada al nostro buon nome, ai nostri titoli o al posto che occupiamo.

Tiene solo conto del Suo amore.

Quando ci presentiamo di fronte a Lui realmente pentiti, crollano ad una ad una le nostre sicurezze, perdiamo tutto, ma ci rimane la cosa più preziosa: “…essere accolti con cuore contrito e con lo spirito umiliato…”.

Abbiamo salvato il cuore; tutto può ricominciare.

Ci siamo illusi, come il figliol prodigo, di riempirlo di ghiande contese ai porci  (Luca 15,16).

Finalmente ci siamo accorti che possiamo riempirlo solo di Te.

Abbiamo inseguito i miraggi. Ora, dopo aver inghiottito delusioni a ripetizione, vogliamo imboccare la strada giusta per non morire di sete:

“…Ora Ti seguiamo con tutto il cuore,…cerchiamo il Tuo volto…”

Quando si è perso tutto, rimane il cuore.

E ha inizio la conversione.

Un esempio semplicissimo di preghiera penitenziale è quello offerto dal pubblicano (Luca18,9-14),che fa il gesto semplicissimo di battersi il petto (cosa non sempre facile quando il bersaglio è il nostro petto e non quello degli altri) e usa parole semplici ( “…O Dio, abbi pietà di me peccatore…”).

Il fariseo ha portato davanti a Dio l’elenco delle proprie benemerenze, delle proprie prestazioni virtuose, e fa un discorso solenne (una solennità che, come spesso accade, sconfina nel ridicolo).

Il pubblicano non ha neppure bisogno di presentare la lista dei propri peccati.

Si limita a riconoscersi peccatore.

Non osa levare gli occhi al cielo, ma invita Dio a chinarsi su di lui ( “ ..Abbi pietà di me..” si può tradurre con “Chinati su di me”).

La preghiera del fariseo contiene un’espressione che ha dell’incredibile: “…O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini…”.

Lui, il fariseo, non sarà mai capace di una preghiera penitenziale (al massimo, nella preghiera, confessa  le colpe degli altri, oggetto del suo disprezzo: ladri, ingiusti, adulteri).

La preghiera di pentimento è possibile quando uno ammette umilmente di essere come gli altri, ossia peccatore bisognoso di perdono e disposto a perdonare.

Non si arriva a scoprire la bellezza della comunione dei Santi, se non si passa attraverso la comunione coi peccatori.

Il fariseo reca i propri meriti “esclusivi” davanti a Dio. Il pubblicano reca i peccati “comuni” (i propri, ma anche quelli del fariseo, ma senza aver bisogno di accusarlo).

Il “mio” peccato è il peccato di tutti (o che ferisce tutti).

E il peccato degli altri mi chiama in causa a livello di corresponsabilità.

Quando dico: “…O Dio, abbi pietà di me peccatore…”, intendo implicitamente “…Perdona i nostri peccati…”.

 



Cantico di un anziano

Benedetti quelli che mi guardano con simpatia
Benedetti quelli che comprendono il mio camminare stanco
Benedetti quelli che stringono con calore le mie mani tremanti
Benedetti quelli che s’interessano della mia lontana giovinezza
Benedetti quelli che non si stancano di ascoltare i miei discorsi, già tante volte ripetuti
Benedetti quelli che comprendono il mio bisogno di affetto
Benedetti quelli che mi regalano frammenti del loro tempo
Benedetti quelli che si ricordano della mia solitudine
Beati quelli che mi sono vicini nel momento del passaggio
Quando entrerò nella vita senza fine mi ricorderò di loro presso il Signore Gesù!


 “O Dio, abbi pietà di me peccatore…”).